Erwin Chargaff, Il pericolo di un pasticcio genetico, 1976

Il tentativo recentemente intrapreso di far gustare al pubblico il bricolage genetico, pone un curioso problema. I National Institutes of Health (NIH) si sono lasciati coinvolgere in una controversia probabilmente perché qualcuno li ha pregati di stabilire « linee direttrici » in cui non hanno proprio nulla da cercare. Forse, si sarebbe dovuto rivolgere una siffatta richiesta al dipartimento della giustizia, il quale, però, dubito che si sarebbe occupato dei problemi di una biologia molecolare colposa.

Anche se non credo che un’organizzazione terroristica abbia mai chiesto alla polizia federale di emanare direttive riguardanti l’esecuzione corretta di esperimenti con esplosivi, sono sicuro del tipo di risposta: dovrebbero mantenersi estranei a qualsiasi azione illegale. Ciò rientra anche nel caso di cui intendo ora parlare: nessuna cortina fumogena e nessun laboratorio di sicurezza del tipo P3 o P4 possono esimere il ricercatore dalla colpa, se ha recato danno a un suo simile. Devo riporre le mie speranze nelle donne delle pulizie e negli addetti agli animali impiegati nei laboratori a giocherellare con i DNA ricombinanti, o ne legislatore che deve ravvisare un’occasione d’oro nella possibilità di perseguire le pratiche biologiche illecite, e nelle corti d’assise che disdegnano dottori di ogni tipo.

Nell’esecuzione della mia impresa donchisciottesca – una lotta contro mulini a vento muniti di laurea in medicina – comincerò con la follia principale, cioè con la scelta dell’Escherichia coli come ospite. In tale contesto vorrei citare una definizione contenuta in un prestigioso manuale di microbiologia: « L’Escherichia coli viene indicato come il “bacillo dell’intestino crasso”, perché è la specie predominante in quel tratto dell’intestino. In realtà noi ospitiamo molte centinaia di diverse varianti di questo utile microorganismo, responsabile di poche infezioni, ma forse del maggior numero di lavori scientifici che qualsiasi altro organismo vivente. Se gli uomini del nostro tempo si sentono chiamati a produrre nuove specie di cellule viventi (specie che il mondo non ha probabilmente mai visto dagli inizi della sua esistenza), perché scegliere proprio un microorganismo che da gran tempo è convissuto con noi in rapporti più o meno feici? La risposta e che no! ne sappiamo di più sull’Escherichia coli che su qualsiasi altro essere vivente, inclusi noi stessi. Ma questa è una risposta valida? Prendetevi tempo, fate con diligenza le vostre ricerche e ricaverete alla fine molte cose su microorganismi che non possono vivere nell’uomo e nell’animale. Non c’è fretta, non c’è per niente bisogno di avere premura. A questo punto, molti colleghi mi interromperanno assicurandomi di non poter aspettare pià a lungo, di avere una fretta incredibile di aiutare l’u­manità sofferente. Orbene, senza mettere in dubbio la nobiltà dei loro motivi, devo dire che, per quanto io sappia, nessuno ha mai presentato un progetto chiaro di come preveda di guarire tutto, dall’alcaptonuria alla degenerazione di Zenker, per non parlare del modo con cui intende migliorare e sostituire i nostri geni. Ma schiamazzi e vuote promesse riempiono l’aria: Non volete in fin dei conti avere un’insulina a buon mercato? Non vi piacerebbe vedere il grano prendere il suo azoto direttamente dall’aria? E non sarebbe bello se la verde umanità potesse preparare il suo cibo mediante fotosintesi: dieci minuti al sole come colazione trenta minuti per il pranzo e un’ora per la cena? Bene, forse si, forse no.

Se è veramente necessario che il dottor Frankenstein continui a produrre i suoi piccoli mostri biologici (ma io ne nego l’urgenza e persino la necessità) deve forse essere l’Escherichia coli a fornire il grembo materno? Questo è un campo dove quasi ogni esperimento costituisce un colpo sparato a casaccio, e chi può sapere che cosa mai si riesce a impiantare nel DNA dei plasmidi che saranno moltiplicati dal bacillo sino alla consumazione dei secoli? E alla fin fine questa roba penetrerà nell’uomo e nell’animale, nonostante tutte le misure di sicurezza. Tra intemo ed esterno non c’è una reale differenza. In seguito ci assicureranno che i lavori verranno eseguiti con virus lambda indeboliti e con ceppi di E. coli modificati e difettosi, i quali non possono vivere nell’intestino. Ma come la mettiamo con lo scambio di materiale genetico nell’intestino? Come possiamo essere sicuri di quel che accadrà, quando i piccoli mostri sgattaioleranno fuori dal laboratorio? Ecco un’altra citazione dal ragguardevole manuale: « In effetti non si può escludere la possibilità che mediante una ricombinazione genetica nel tratto intestinale persino bacilli innocui possano diventare in qualche occasione virulenti ». Io, però, penso a qualcosa di peggio della virulenza. Stiamo giocando con il fuoco.

Non è un motivo di sorpresa ma di deplorazione se i gruppi con il compito di stabilire linee direttrici e i diversi comitati consultivi siano stati formati esclusivamente, o in maggioranza, di sostenitori di questo genere di sperimentazione genetica. Si è trascurato completamente (questa, almeno è stata l’impressione) il fatto che ci trovavamo di fronte a un problema non tanto di igiene quanto di etica, e che la domanda cui si doveva anzitutto rispondere era se noi avevamo il diritto di porre un’ulteriore terribile ipoteca su generazioni non ancora nate. Uso l’aggettivo ulteriore in rapporto al problema irrisolto e altrettanto pauroso dell’elirninazione delle scorie nucleari. Il nostro tempo è condannato a lasciar prendere decisioni di enorme portata da persone deboli, travestite da specialisti. C’è qualcosa di più vasta portata della creazione di nuove forme di vita?

Ora, poichè è chiaro che i National Institutes of Health non sono adatti a decidere su dilemmi così importanti, posso soltanto sperare, anche senza alcuna seria prospettiva, in un’azione del parlamento. Si potrebbero, per esempio, valutare le possibilità di compiere i seguenti passi: 1) divieto assoluto di utilizzare come ospiti batteri presenti nell’organismo umano; 2) istituzione di un’autorità veramente rappresentativa di questo paese, la quale dovrebbe accordare e sostenere ricerche su ospiti e metodiche meno contestabili; 3) rendere monopolio federale qualsiasi forma di ingegneria genetica*; 4) concentrazione di tutto il lavoro di ricerca in un solo luogo per esempio a Fort Detrick. Naturalimente sarà necessaria una forma di moratoria sino alla promulgazione di norme legislative di sicurezza.

Ma al di là di tutto ciò si presenta un importantissimo problema di carattere generale: la spaventosa irrevocabilità dei propositi. Si può smettere con la fissione atomica, si può desistere dal visitare ancora la luna, ci si può astenere dall’uso di aerosol, è possibile persino prendere in considerazione la decisione di non uccidere intere popolazioni per mezzo di alcuni tipi di bombe, ma non si possono revocare nuove forme di vita. Una cellula di Escherichia coli appena costruita e in grado di vivere che porti con sé un DNA plasmidico insieme a un pezzo di DNA eucariotico trapiantato sopravviverà a noi, ai nostri figli e ai nostri nipoti. Un attacco irreversibile alla biosfera è una cosa talmente inaudita e sarebbe parso così impensabile alle generazioni passate, da indurmi soltanto a desiderare che la nostra generazione non commetta tale colpa. L’ibridazione di Prometeo con Erostrato produce necessariamente risultati cattivi. In effetti, i risultati sinora pubblicati delle sperimentazioni in questo campo non sono certo convincenti. Comprendiamo assai poco del DNA eucanotico e non sono ancora pienamente intellegibili il significato delle interruzioni e delle sequenze ripetute del DNA e la funzione dell’eterocromatina. Si ha l’impressione che esperimenti di ricombinazione in cui un pezzo di DNA animale viene incorporato nel DNA di un plasmide microbico siano effettuati senza capire a fondo ciò che sta succedendo. Il luogo in cui un dato gene si trova nel DNA con riferimento alle sequenze dei nucleotidi contigui viene lasciato al caso o si tratta di controllo e regolazione reciproci? Possiamo essere sicuri ― tanto per citare qualcosa di fantasticamente improbabile ― che il gene per un determinato ormone albuninico, funzionante soltanto in alcune cellule specializzate, non diventi cancerogeno, qualora sia introdotto, per cosi dire, nudo e crudo nell’intestino? E’ una cosa saggia mescolare ció che la natura ha tenuto distinto, cioè i genomi di cellule eucariotiche con quelli di cellule procariotiche?

Il peggio è che non lo sapremo mai. Rispetto all’uomo, i batteri e i virus sono sempre appartenuti a un movimento biologico clandestino estremamente attivo, la nostra comprensione della guerriglia per mezzo della quale essi influiscono su forme superiori di vita è molto lacunosa. Mentre aggiungiamo a questo arsenale insondabili strutture vitali (procarioti, che moltiplicano geni eucariotici) gettiamo un velo di incertezza sulla vita delle future generazioni. Abbiamo il diritto di operare in contrasto con la saggezza evolutiva di milioni di anni per accontentare l’ambizione e la curiosità di alcuni scienziati?
Questo mondo ci è dato soltanto in prestito. Arriviamo e ce ne andiamo e dopo di noi lasciamo terra, aria e acqua ad altri che ci seguono. La mia generazione ― o forse quella che l’ha preceduta ― ha intrapreso per prima sotto la guida delle scienze esatte una distruttiva guerra coloniale contro la natura.

Perciò il futuro ci maledirà.

Erwin Chargaff

Lettera indirizzata all’editore di Science

On the dangers of genetic meddling, 1976.

Tratto da : E. Chargaff, Il fuoco di Eraclito, Garzanti, 1985.

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